Le vacanze sono arrivate e passate, il mio periodo di inattività italica è agli sgoccioli. E’ stato un mese molto piacevole, magnate a non finire e gite per tutta Italia con la mia consorte (Venezia, Verona, Torino, Lecce, Otranto, San Marino, Roma, Perugia, Assisi…). Dopotutto ho trovato gli italiani ancora meglio di come mi aspettassi, treni e poste fanno sempre defecare a spruzzo, ma le persone sono ancora socievoli e rilassate, a parte quando hanno un’auto sotto il culo, momento in cui si trasformano in bestie assetate di sangue (anche in Giappone i mongoloidi abbondano, ma hanno un po’ più di pudore).

Comunque siamo quasi alla conclusione e meno male, che l’ozio è una malattia dagli effetti letali su di me.

Il 25 alle 17 mi aspetta l’aereo che mi porterà prima a Londra e poi a Auckland per 30 impressionanti ore di viaggio, tra volo e cambi, il lunedì successivo si comincia col corso alla scuola. Il primo Mainichi si era aperto poco prima della partenza per la Keio, più di sei lunghi anni fa, la sua terza incarnazione si conclude alla vigilia di un’altro decollo, per una meta verso cui anche solo tre anni fa non avrei mai immaginato di dirigermi.
E così il grande cerchio si chiude, il Mainichi interrompe a titolo definitivo le sue trasmissioni (continuerò ad aggiornare solo minube non appena mi tornerà l’ispirazione) . Ci saranno altri blog, altre storie, ma non qui, non subito e non so nemmeno in che forma (vlog? blog serio a tema? podcast? blog cazzone come questo?). All’etere e all’intanetto il compito di preservare la memoria di anni costellati da sudore e fatica, ma anche da discrete soddisfazioni.

Le riflessioni le ho già fatte nel post precedente, non ho altro da aggiungere, se non grazie, saluti a tutti e arrivederci alla prossima.

If you miss me
Sneak a peek at my diary
Or read the peek-a-boo sky that lights the night

I’ll say this once:

Ieri ho venduto lo scooter. Dover dire addio al mio fedele destriero compagno di tante cavalcate solitarie è stato molto triste, nonostante ci abbia fatto un discreto gruzzolo. Quel ammasso di lamiera, plastica, circuiti e gomme ha attraversato una buona fetta della mia vita.

Oggi mi tolgono internet, domani risolvo il contratto del cellulare, dopodomani termino anche acqua, luce e gas. Il 15 riconsegno le chiavi e passo la notte a casa dei genitori della mia dolce consorte.

Dall’altra parte ho trovato una stanza a Auckland, pagato la scuola, fatto il conto in banca (da quelle parti basta compilare un form online e poi andare ad attivarlo di persona una volta lì), l’assicurazione sanitaria e altre cosine. Insomma tutte quelle formalità spaccamaroni per le quali poi molta gente desiste dall’andarsene in giro.

12-12-11, ultimo post di questa esperienza Giapponese. Per poco non facevo il palindromo. Che poi 12 è sempre stato un numero ricorrente: 12 settembre partii per la Keio, 12 gennaio partii per la prima volta per Takasago, 12 ultimo giorno di lavoro, 12 gli apostoli di Gesù Cristo, 12 i segni zodiacali. E’ un caso? Sì.
Ma è inevitabile che nella mente si affaccino scene di questi 42 mesi (e sottolinerei il 42), come una lunga sigla finale di uno dei tanti episodi della mia vita e una sequela di domande che poi possono confluire tutta in una sola: ma alla fin fine ho fatto bene a vivere come ho vissuto?

Dunque vorrei fare alcune considerazioni.

Sono convinto che venire in Giappone sia stata un’ottima scelta, anche se piena di momenti difficili (e la parola “piena” da solo una pallida idea). In passato lo scrissi più per farmi coraggio che per convinzione, ma oggi sono dell’idea che rebus sic stantibus a fine 2007 non ci fosse veramente altro da fare. Dove sarei potuto andare con una laurea in giapponese, dottorato a parte (che esclusi subito)? Dopo aver raggiunto il Giappone ci sono stati anni di smarrimento per la fine del sogno (divenuto realtà) che aveva alimentato la mia vita fino ad allora, ma ho sempre potuto guardarmi allo specchio senza vergogna: la missione affidatami da un timido quattordicenne anni prima era stata portata a termine. Non oso immaginare cosa sarebbe successo se avessi rinunciato, probabilmente non me lo sarei mai perdonato e avrei rovinato la vita mia e di chi mi stava accanto.
Mi congratulo comunque con me stesso per aver resistito quasi quattro anni in una città che a uno straniero ha veramente poco da offrire (nonostante abbia sempre fatto di tutto per rendere Takasago una sorta di simpatico personaggio).

Diverso e più complesso il mio giudizio sulla scelta di studiare giapponese all’università. Se è vero che nessuna laurea garantisce un futuro luminoso, non mi stancherò mai di ripetere che fare di una lingua la propria unica specializzazione è un modo per complicarsi enormemente la vita, un assegno in bianco in mano al Destino Infame e provo sincera pena quando in giro per il web leggo le entusiaste parole dei giovani studenti di giapponese odierni: la maggior parte di loro si pentirà amaramente di aver intrapreso questa strada.
Voglio dare loro un consiglio: se proprio volete studiare giapponese almeno abbiate ben chiaro in mente che strada intraprendere dopo la laurea e dove cercare. Già durante gli studi cominciate a tastare quel settore, a conoscere gente, a fare qualche piccola esperienza, per non arrivare alla laurea intontiti a chiedervi “E adesso?”. Tracciarvi una rotta vi risparmierà molte grane.
Anche i miei figli, quando ne avrò, saranno liberi di scegliere, ma mi assicurerò che comprendano le implicazioni di quanto stanno facendo e che capiscano che eccellere in Storia Bizantina & affini è bello, ma non ti da il pane.

D’altra parte però sento che aver avuto un grande sogno, aver lottato a viso aperto per esso e infine averlo raggiunto mi ha reso una persona migliore. La mia è stata una grande avventura, tra vittorie e sconfitte, mosse azzeccate e errori, duelli all’ultimo sangue contro me stesso e quando ripenso al passato la mia stessa storia mi appassiona, in particolare le parti di cui non vi parlerò mai. Sì sarebbe stato più semplice studiare Economia e Commercio, ma forse mi sarei arenato e ingrigito anzitempo.
Senza considerare tutte le persone fantastiche che ho incontrato, in Italia e in Giappone. Certo, per le mie scelte altre non ne conoscerò mai, ma tutte le strade sono diverse e da questo punto vista credo di essere stato molto fortunato.

Ora l’avventura continua, anche se probabilmente non su questo blog. Ma i saluti li faremo a tempo debito che ancora non siamo pronti per il commiato.

E così niente, come ho detto tra pochi giorni lascerò il Giappone (ieri cena di addio – che brutta parola – con i colleghi) e preso un po’ dalla malinconia ho composto questa poesia in onore della città che mi ha ospitato in questi anni.

A Takasago

Ne mai più toccherò la sacra mansion
ove l’italico salaryman giacque,
Takasago mia, che te specchi nell’onde
del Mare Interno ove nazione nacque

Nipponia, e fea quelle isole feconde
di giappina, ch’a noi sempre piacque
lo tsuyu e le marroni sponde
le meduse nelle di Suma acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui morto di patata e di sventura
baciò infine la sua pelosa Itaca Tonari.

Tu non altro che il blog avrai del figlio,
o adottiva mia terra; a noi prescrisse
il fato di ascoltare i Sepultura.

Ai posteri l’onere e l’onore di interpretare questi versi.

Sì lo so è parecchio che non scrivo, ma ho avuto un po’  di cose da fare negli ultimi tempi. E con “un po’” intendo “un bel po’”. Preparativi per un lungo viaggio.
Molti di voi avranno probabilmente intuito la mia predilezione per il vino, alcuni si ricorderanno di un certo post passato in cui esprimevo la mia insoddisfazione per la situazione attuale, altri ancora niente di tutto ciò ma non importa.
Dopo tanto tempo (dalla primavera del 2010 circa) in cui ho pazientemente accumulato il mio cosmo sono finalmente pronto a scatenare il Sacro Virgo e rivelarvi che sto per lasciare il lavoro e il Giappone.

Sono l’uomo più vicino ad Atena, perché dunque ho reso i miei servigi ad Arles? Beh presto detto: infine ha prevalso in me la voglia di sperimentare nuove strade, in particolare quella vitivinicola che mi porterà a partire da fine Gennaio in quel di Auckland, per il corso in wine professional knowledge che da taaanto tempo avevo programmato.

Non è stata una scelta facile lo devo ammettere, tant’è vero che sono mesi e mesi che ci rimugino, facendo sempre un timido passettino alla volta. Sul fare dell’autunno 2011 però mi sono definitivamente deciso, sarà la crisi dei 30 anni, sarà lo stress del salaryman, sarà il Morellino di Scansano, ma alla fine compio il passo. I miei colleghi e non solo mi danno del pazzo, molti di voi pure immagino e anche Wilson, il mio orsetto parlante.

Vorrei comunque sottolineare che non sto dicendo addio al Giappone: ho legami molto forti qui, ho qualche contatto, un’ottima padronanza della lingua, un po’ di skill programmatorie (quasi 4 anni di esperienza, buttali via) e confido di poter tornare più o meno quando voglio se le cose si complicano. Anzi le probabilità a favore di un mio prossimo ritorno in terra nipponica, magari con l’armatura d’oro del Sauvignon Blanc, sono cospicue. Ma tutto ciò ora non importa perché il mio 2012 si aprirà in Italia per le vacanze per poi continuare in Nuova Zelanda alla ricerca del Santo Graal e del Monte Fato.
E perché proprio NZ per studiare vino, perché non Italia, Francia o Spagna? Me lo hanno chiesto in molti. La mia risposta è stata “E perché no?”. Quello vinicolo è un settore giovane ma promettente da quelle parti, ho l’impressione che ci sia dello spazio per crescere. E poi mi tolgo la curiosità di vedere la tanto favoleggiata Nuova Zelanda.

Capirete dunque che sono un po’ indaffarato, devo chiudere tutti i discorsi aperti, informarmi su varie questioni danarose, prepararmi la strada per l’atterraggio in Kiwi Land e soprattutto giocare a The New Zealand Story sull’emulatore (mi pare di capire che sia impossibile sopravvivere in NZ senza almeno un arco e delle frecce).
Sì insomma non ve la prendete se non scrivo, un motivo c’è.

Però ecco in un certo senso è l’inizio di una nuova fase, non sono sicuro che il Mainichi sopravviverà a tutto ciò. E ci oscureremo in mondo di luce.

La serata prevede:

– visione del tradizionale cartone animato Walt Disney:

(adoro la risata bastarda di Paperino)

– degustazione e successivo sbevazzamento di vino rumeno Clos Buzao di Dealu Mare (sì ok non essendo Transilvania è un po’ come ricordare la presa di Porta Pia con un Picolit ma non sottilizziamo)

gran finale con cosplay da streghetta comprato al Donki Hotte di mia mo dialogo sui massimi sistemi, l’universo e ciò che c’è oltre.

Vi lascio coi Death SS che gli Helloween dai sono troppo scontati e anche un po’ gay anche se essendo io power gay metaller potrebbero pure andare

(mi dicono che le feste di Halloween a Osaka sono più o meno così. Io chiaramente pure stavolta lavoravo)

Che stupore Takasago, quando sei qui da tre anni e pensi ma che città di merda anonima e grigia senza niente, solo distese di case punteggiate da supermercati e conbini ecco che scopri che a due passi da qui, proprio dietro casa, ci sarebbe nato Miyamoto Musashi e il suo figlio adottivo Iori.

Oltre a ciò scopro anche che a Takasago, precisamente al Takasago Jinja, è nata un canto eseguito durante i matrimoni tradizionali giapponesi che serve ad augurare una vita felice alla coppia.
Comincio a sospettare che a portarmi qui non sia stato il caso, ma imperscrutabili forze cosmiche all’opera all’insaputa dell’umanità.